L'emigrazione ebraica in Italia

Può sembrare a prima vista sorprendente che gli ebrei originari dei paesi sottoposti al dominio nazionalsocialista abbiano potuto trovare asilo solo in Italia, visto che il sistema fascista nella sua struttura di potere era abbastanza simile a quello nazionalsocialista. Il fascismo però non si era orientato nelle sue dichiarazioni e proclamazioni di principio in senso antisemita. La situazione cominciò a peggiorare solo dopo l'avvento al potere del nazionalsocialismo in Germania e trovò espressione in una campagna di stampa contro gli ebrei italiani che per la prima volta minacciava la parità di diritti che godevano a partire dal Risorgimento. Dopo il 1934 il regime cominciò ad accusare la comunità " ebraica italiana di scarsa lealtà politica e nazionale adducendo come pretesto la partecipazione di intellettuali ebrei all'opposizione politica e le attività dei piccoli gruppi sionisti.

E questo il retroscena che ci consente di capire come Mussolini, nell'aprile del 1933, fosse ancora disposto a garantire agli emigranti ebrei provenienti dalla Germania la possibilità di stabilirsi in Italia a  meno che non si trattasse di persone politicamente attive nei partiti di opposizione al fascismo . (…..)
La liberalità della legislazione e della politica italiana nei confronti degli stranieri aveva le proprie radici nella monarchia liberale. Per gli impiegati statali che operavano in questo settore della burocrazia valeva il criterio secondo il quale l'Italia che era a sua volta un paese con un grande flusso di emigrazione verso l'estero, dovesse offrire a chi voleva immigrare delle facilitazioni e delle possibilità di lavoro, onde potersi difendere da eventuali rappresaglie dei governi stranieri nei confronti dei propri concittadini all’estero. Era inoltre invalsa l’opinione che si dovessero favorire gli investimenti di capitali stranieri nel paese, giacché il suo sviluppo economico era arretrato rispetto all’Europa settentrionale e centrale. (…) Solo quando, dopo l'annessione dell'Austria, si annunciò un arrivo maggiore di profughi, fu varato un divieto di immigrazione per gli ebrei austriaci, la cui applicazione tuttavia si scontrò - come fu ammesso in una note presentata a Mussolini – con “considerevole difficoltà”, giacché fino all'introduzione nell'ottobre del 1938 dei passaporti tedeschi contrassegnati con la lettera J non ere possibile al momento dell'ingresso nel territorio italiano riconoscere gli ebrei.(….)

Nei primi anni l’immigrazione avvenne molto lentamente: nell'ottobre del 1934 le prefetture italiane contavano circa 1100 “rifugiati di fede ebraica provenienti dalla Germania” (compresi anche i cittadini polacchi) e nel maggio del 1936 il numero degli “ebrei cittadini tedeschi” ammontava a incirca 1500. I dati più certi sono forniti dal “censimento degli ebrei stranieri” del settembre 1938 condotto in vista della promulgazione delle leggi razziali italiane - che schedava circa 4100 persone (di cui 2800 tedeschi, 280 polacchi di Germania, 400 austriaci e 640 cittadini di stati ignoti in prevalenza comunque ancora austriaci, ai quali era stato concesso solo un permesso di soggiorno limitato nel tempo. In realtà il numero degli ebrei polacchi provenienti della Germania deve essere portato a 400-500, giacché nelle liste del:e prefetture spesso non possono essere distinti da quelli emigrati direttamente dalla Polonia.

Le condizioni dell'esilio in Italia peggiorarono progressivamente via via che l'influsso tedesco aumentava. (….)

Alla metà di giugno del 1937 Mussolini si dichiarò disposto ad accettare che nelle questure delle dieci più importanti città d'Italia fosse immesso del personale di fiducia dell'organizzazione all'estero della NSDAP che considérava come uno dei propri compiti principali quello di investigare sugli emigranti ebrei. L'azione più significativa della collaborazione tra le polizie dei due paesi fu le serie di arresti operata nel maggio del 1938 in occasione della visita di stato di Hitler. A seguito di uno scambio di liste di persone, la Gestapo pretese che come “misura di 13 sicurezza” venissero temporaneamente arrestati 150-200 tedeschi, austriaci e polacchi residenti in Italia - una parte considerevole dei quali era costituita da ebrei - e ne fosse sorvegliato più severamente un numero molto maggiore. (…) Le procedure adottate in occasione della visita di Hitler furono un grave segnale d'allarme, che rese molti emigrati consapevoli del fatto che non avrebbero potuto restare molto più a lungo in Italia.

KLAUS VOIGT