Il gruppo proveniente da Kavaja Indice La provincia del Carnaro - accolti e respinti

LA PROVINCIA DEL CARNARO

A Fiume, la città capoluogo della Provincia del Carnaro, come pure negli altri centri abitati - Abbazia, Laurana, Volosca, Clana, ecc - si erano stabiliti già dal XIX secolo numerosi ebrei stranieri, soprattutto ungheresi. Negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale la provincia era diventata, inoltre, una delle basi prescelte da molti degli ebrei profughi provenienti dall'Europa centro-orientale che la raggiungevano , però, non per stabilirvisi, bensì con l'intenzione di partire dal suo porto verso l'allora Palestina, così come avveniva nella non lontana Trieste.
Le leggi razziali del 1938 colpirono allo stesso modo sia gli ebrei residenti che i profughi che, all'epoca, si trovavano nella città.
Successivamente, a seguito dell'invasione della Jugoslavia da parte degli italiani, la provincia aveva visto aumentare il proprio territorio. Ad essa, infatti era stata annessa la fascia costiera a sud-est di Fiume comprendente, tra l'altro, Susak, nonché le isole di Veglia/Krk e di Arbe/Rab.
Queste annessioni non ne avevano modificato l'ordinamento amministrativo. Uniche novità erano state l'istituzione dell'Intendenza civile per i Territori annessi del Fiumano e della Cupa e del Commissariato civile di Sussak, che tentarono, a dire il vero con scarsi risultati, di favorire l'integrazione tra la legislazione italiana e quella jugoslava.
L'ordine pubblico dei territori annessi - compreso il controllo dell'afflusso e della presenza degli ebrei profughi - era affidato al Commissariato di polizia di Susak, dipendente dalla Questura di Fiume, nonché ai battaglioni dei Carabinieri Mobilitati al seguito della Seconda Armata il cui comando aveva sede proprio a Susak, contigua al capoluogo della provincia, dal quale era separata dal ponte sul fiume Eneo.
Come si può notare dalla cartina1, la nuova frontiera poneva il territorio fiumano a diretto contatto sia con la Provincia di Lubiana, sia con la zona croata occupata militarmente e questo faceva in modo che entrarvi sembrasse, agli ebrei in fuga, la via più breve per raggiungere direttamente l'interno del territorio italiano e, quindi la salvezza.

L'atteggiamento delle autorità fiumane di fronte all'afflusso dei fuggitivi fu caratterizzato, fin dall'inizio, da una forte ambivalenza: mentre alle frontiere si susseguivano i respingimenti o, in particolare a Susak, le retate che portavano all'arresto ed al successivo allontanamento di chi veniva sorpreso non in regola con i documenti2 , dall'altra si consentiva il soggiorno e, in molti casi, l'internamento sul territorio italiano a coloro che, pur trovati nella stessa condizione, dimostravano di potersi mantenere a proprie spese.
Questa possibilità, in generale, era offerta ai profughi entrati anche negli altri territori annessi, ma a Fiume assunse un carattere del tutto discriminante: nelle segnalazioni riguardanti i profughi per i quali fu disposto l'internamento si rinviene sempre indicata la cifra esatta di cui essi erano in possesso.
La Questura di Fiume aveva ricevuto fin dal 9 giugno del 1941 la disposizione di consentire l'ingresso ed il soggiorno di profughi che fossero nelle condizioni citate sopra, ma solo nel novembre del 1941, quando erano stati eseguiti già numerosi respingimenti ed allontanamenti, il prefetto di Fiume chiese al ministero dell'Interno istruzioni precise su come gestire la questione dei profughi.
Si trattava - scriveva il prefetto - di profughi arrivati nella città clandestinamente, con documenti irregolari e "in parte allontanati mediante opportune azioni di rastrellamento" . Il prefetto chiedeva se in linea di massima le domande che questi inviavano al Ministero per ottenere l'autorizzazione a rimanere in Italia fossero "suscettibili di istruttoria" o quali provvedimenti dovessero essere adottati, in caso negativo, nei confronti dei profughi . Al prefetto venne risposto, in maniera piuttosto sibillina, che "in linea di massima" non doveva prendere in considerazione le domande prodotte dai profughi , ma che doveva informare il Ministero per le eventuali valutazioni qualora vi fossero stati "elementi che per particolari motivi" per cui essi non potessero far ritorno in Croazia3.
Si trattava, di fatto, di una autorizzazione a comportarsi in maniera del tutto discrezionale. L'ampia documentazione conservata presso l'Archivio dello Stato di Fiume mostra la differenza di trattamento - non sempre motivata, soprattutto nei casi di arresto ed allontanamento - che veniva riservata ai profughi.
Va, inoltre rilevata la differenza tra il comportamento tenuto dall' Alto Commissariato di Lubiana e dal Governatorato della Dalmazia nei rapporti con le autorità centrali e quello adottato dalla Prefettura e della Questura di Fiume
Queste ultime, infatti, non sembrano aver mai nemmeno ipotizzato richieste di internamento in Italia di gruppi di profughi più o meno numerosi, come avevano fatto l'Alto Commissario Grazioli o il Governatore Bastianini né, tanto meno, pensarono a luoghi di internamento da istituire nella loro provincia4.
L'impressione che il ricercatore ricava dall'esame della documentazione è quella di una gestione dei profughi "caso per caso", a seconda delle circostanze o, eventualmente, di qualche interesse personale.
La stessa Delasem incontrò enormi difficoltà a stabilire rapporti con le autorità fiumane. Queste si rifiutarono di incontrare Carlo Morpurgo, il presidente del Comitato italiano di assistenza agli emigrati di Trieste che, a nome dell'Unione delle Comunità si preoccupava del soccorso ai profughi dalla Croazia rifugiati nelle zone della ex Jugoslavia controllate dagli italiani, o, quando lo fecero, accolsero le sue richieste con un atteggiamento sprezzante e non accettarono nessuna delle sue proposte5.
Alla Comunità di Fiume, numerosa e ben organizzata era proibito prestare assistenza ai profughi rifugiati a Susak. A pochissimi di loro - secondo la discrezionalità del questore Genovese - veniva concesso il lasciapassare per Fiume ma la concessione dipendeva dalla disponibilità della stessa Comunità di Fiume a fornire " nomi ed indirizzi dei suoi assistiti a Sussa", cosa che non avvenne, sempre per timore degli arresti e degli allontanamenti6.
In mancanza, allo stato delle ricerche, di comunicazioni tra le autorità fiumane e il Ministero dell'Interno contenenti gli elenchi di profughi e la sede in cui si raccoglievano, le informazioni reperite sul numero delle presenze nelle varie località della provincia e su quello degli internamenti sono state ricostruite attraverso le relazioni che Carlo Morpurgo inviava alla Delasem e attraverso i fascicoli personali degli internati che, finora, si è riusciti ad esaminare.
Da questi ultimi si apprende che, una volta scoperti, i profughi clandestini venivano arrestati e la loro abitazione perquisita, alla ricerca di eventuale materiale sovversivo7 . Se non lo avevano già fatto al momento dell'arrivo, gli arrestati rivolgevano immediatamente una istanza al Ministero dell'Interno, descrivendo la situazione dalla quale fuggivano e chiedendo l'internamento in una qualsiasi parte dell'Italia.
Generalmente, nelle istanze, i richiedenti - anche mentendo - dichiaravano di possedere i mezzi per mantenersi a proprie spese.
Il prefetto poteva decidere di non aspettare il parere del ministero e quindi allontanare il richiedente.
In altri casi, quando l'istanza, d'ufficio, gli veniva rinviata da Roma perché esprimesse il proprio parere, in linea di massima il prefetto si dichiarava favorevole e l'internamento veniva concesso, con il ricorso alla formula generica "data la particolare situazione di questa delicata zona di frontiera" e con l'indicazione della somma di cui i richiedenti l'internamento erano in possesso.
Solo allora, il Ministero avviava tutta la procedura dell'internamento.
Spesso tra l'arresto e l'internamento, passavano anche diversi mesi, che i profughi trascorrevano in carcere.
Dato il loro numero, spesso erano inviati nelle carceri di Trieste o di Udine.
Tuttavia poteva accadere che, prima che fosse stabilita la sede o anche dopo, e senza che i documenti chiariscano le motivazioni, il profugo venisse ugualmente allontanato8.
Le ultime informazioni in ordine di tempo finora rinvenute sui profughi entrati nella provincia del Carnaro sono contenute in una relazione inviata alla Delasem il 27 agosto del 1943.
In essa non si accenna affatto alla permanenza di profughi nella città di Fiume, mentre a Susak la situazione era diversa. Si tratta - scriveva Carlo Morpurgo - di un gruppo di circa 300 profughi rimasti nella zona che " si trovano in quel territorio fino dal 1941 e a suo tempo non hanno notificato alle autorità la loro presenza, perché allora, in seguito alle direttive del Questore Genovese ogni profugo ebreo che si annunciava all'Autorità di Pubblica Sicurezza veniva spietatamente ricacciato in Croazia dove lo attendeva la morte certa."9


1 Cartina tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/Provincia_di_Fiume
2 Per poter entrare nelle zone annesse era necessario un visto sul quale andava apposto il nullaosta del Centro Comando Supremo competente per territorio, che doveva anche essere informato del motivo dell'ingresso. Il visto andava infine corredato dall'autorizzazione del Ministero dell'Interno. Cfr. AdSF, Fondo HR-DARI-53, Sez URED ZA STRANGE, sottosez: TEMATISKI DOZIEI, f.Transito nei territori annessi nella Provincia del Carnaro
3 I documenti relativi a questo scambio sono in: ACS,MI,DGPS,A16 (Stranieri e ebrei stranieri),b.10.f.FIUME
4 Il campo situato sull'isola di Rab/Arbe che era territorio della provincia del carnaro, fu istituito e controllato dalle Forze Armate
5 AUCII, Serie DELASEM, b.44P, Rapporti con i comitati locali, Fiume, Relazione di Carlo Morpurgo sulla visita a Fiume, Trieste 22 agosto 1941
6 UCEI, Ivi, Ebrei Croati, Sussa, Isola Veglia
7 Come si è accennato, si tendeva ad considerare i profughi pericolosi per la sicurezza nazionale
8 Episodi simili possono essere rinvenuti tra le sintesi di alcuni fascicoli personali tratti dal Fondo Questura dell'Archivio di Stato di Fiume.
9 Relazione Morpurgo: UCEI, serie Delasem, Varie, b.44P, nota per Roma 27.8.1943

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