Fort Ontario: Indice Gli Stati Uniti e i profughi ebrei

Dalla conferenza di Evian (1938) alla conferenza delle Bermude (1943)

Gli ebrei europei e tutti gli altri membri di differenti nazionalità o religioni che immediatamente prima dello scoppio della seconda guerra mondiale o durante la guerra stessa hanno cercato rifugio in paesi che sono rimasti non coinvolti nella guerra si sono dovuti scontrare con le politiche immigratorie che non tenevano alcun conto della drammaticità della situazione e che contrapponevano alla disperazione dei fuggitivi norme inesorabili ed insormontabili, finendo per limitare fortemente le possibilità per la loro salvezza e sopravvivenza.

L'intreccio di motivazioni legate sia alla politica estera - non ultima, negli anni prima della guerra, la scelta, di mantenere proficue relazioni economiche con la Germania - sia a quella interna - il timore di masse di profughi indigenti da accogliere e sostenere - impediva di sviluppare una chiara politica per la salvezza dei rifugiati ebrei. Nelle dichiarazioni ufficiali non mancavano espressioni di solidarietà e di partecipazione, ma concretamente ben poco veniva fatto .

Un chiaro esempio è costituito dalla conferenza tenutasi ad Evian dal 6 al 15 luglio del 1938.

Dopo l'annessione dell'Austria da parte della Germania nel marzo 1938, le nazioni dell'Europa Occidentale e delle Americhe temettero un flusso incontrollato di rifugiati. Circa 85.000 profughi ebrei raggiunsero gli Stati Uniti tra il marzo di quell'anno e il settembre del 1939, ma furono comunque in numero molto inferiore a quello di chi cercava di mettersi in salvo. Alla fine del 1938, 125.000 persone fecero la fila fuori dai vari consolati americani nella speranza di ottenere uno dei 27.000 previsti dalle leggi sull'immigrazione. Entro il giugno del 1939, il numero di domande salì a più di 300.000.

Fu proprio allo scopo di trovare una qualche soluzione a questo drammatico fenomeno che il governo degli Stati Uniti decise di convocare una conferenza internazionale alla quale parteciparono trenta nazioni e che si tenne nella cittadina francese di Evian tra il 6 e il 15 luglio 1938.44

La conferenza di Evian si proponeva di rispondere a un interrogativo ricorrente, sia tra gli ebrei che tra le autorità incaricate di far fronte al crescente afflusso di profughi: ci si chiedeva dove i perseguitati potessero trovare accoglienza e insediarsi stabilmente, senza che la loro presenza comportasse problemi di convivenza con altri popoli o gravasse sull'economia delle nazioni che li ospitavano.

In ogni modo ciò che più sembrava contare per la comunità ebraica internazionale era il fatto che ci si fosse finalmente resi conto della brutalità delle persecuzioni naziste e della sofferenza inflitta agli ebrei e ad altre minoranze e, inoltre, che si fosse riconosciuta la dimensione mondiale del problema dei rifugiati.

Varie organizzazioni ebraiche presentarono loro proposte. Si chiedeva che fosse agevolata l'immigrazione ebraica in Palestina, rivedendo i limiti previsti dal Mandato britannico, creando la possibilità di nuovi insediamenti in aree non ancora sviluppate (Negev, Transgiordania) e permettendo agli ebrei di portare con sé i loro capitali.
Veniva poi fornita una stima dei costi dell'evacuazione di circa mezzo milione di profughi dalla Germania e si insisteva sulla necessità di raggiungere un accordo con la Germania per consentire lo spostamento di capitali ebraici.
Inoltre i rappresentanti delle comunità ebraiche premevano per la costituzione di un comitato inter-governativo permanente, che, in collaborazione con le associazioni di volontariato, si occupasse degli aiuti ai rifugiati, e di una organizzazione per la raccolta di fondi da destinare agli emigranti. Particolare attenzione veniva richiesta per la condizione di pericolo in cui si trovavano gli ebrei in Polonia, Romania e Ungheria, dove la propaganda antisemita stava assumendo proporzioni preoccupanti.
Infine da tutte le organizzazioni ebraiche giungeva l'invito pressante a condannare le persecuzioni antiebraiche e le restrizioni dei diritti degli ebrei, in primo luogo in Germania, ma anche negli altri paesi dove gli ebrei stavano subendo ingiustizie.

Nel corso della conferenza non si giunse, in realtà, a nessun accordo riguardo alle possibili aree di insediamento per i rifugiati, sia per i contrasti tra le varie nazioni rappresentate ad Evian, sia perché, in ogni caso, la decisione di indirizzare i profughi in un'area stabilita a tavolino difficilmente sarebbe stata accolta senza obiezioni da tutti i profughi, oltre che dalle popolazioni dei territori designati.

In un momento in cui migliaia di vite erano minacciate, i vari paesi si accordarono soltanto sul fatto che avrebbero mantenuto le quote d'immigrazione vigenti. Nessuno, in un così grave frangente, aumentò la propria quota. Solo la Repubblica Dominicana dichiarò di essere pronta ad accogliere un numero elevato di profughi, mentre la Bolivia, tra il 1938 e il 1941, accolse 20.000 Ebrei.

Come scrive Martin Gilbert nel suo libro The Holocaust: "La comunità internazionale, la quale a Evian avrebbe potuto tenere aperte le porte ai profughi, scelse proprio quell'occasione, tanto disperata per gli ebrei che vivevano già sotto il giogo nazista, per dar voce alle proprie esitazioni e alla propria titubanza.
Fu presa una posizione neutrale, che era destinata a costare molte vite".

Ancora più gravi i comportamenti tenuti durante gli anni della guerra.

I paesi neutrali (Svizzera, Spagna, Turchia) perseguirono una politica restrittiva nei confronti dei rifugiati. A coloro che, nonostante tutti gli ostacoli riuscirono a entrare in questi paesi, fu concesso solo un rifugio temporaneo e non sempre sicuro.

Le stesse potenze alleate, soprattutto Gran Bretagna e Stati Uniti, nel corso della guerra non riuscirono a sviluppare e implementare una chiara politica per l'accoglienza e la salvezza dei rifugiati ebrei.

Gli Stati Uniti mantennero una rigida politica delle quote. Durante la seconda metà del 1941, mentre i rapporti non confermati degli eccidi di massa perpetrati dai Nazisti filtravano in Occidente, il Dipartimento di Stato americano impose limiti ancora piu stretti all'immigrazione. Per il governo di Londra, la Palestina era la chiave della loro politica in Medio Oriente Di conseguenza veniva limitata qualsiasi fuga di massa degli ebrei verso quella terra .

Solo una grande pressione applicata da organizzazioni ebraiche internazionali e le prove della "soluzione finale della questione ebraica" costrinsero il governo britannico, in diverse occasioni, a concedere qualche limitato ingresso in Palestina.

Gli Stati latinoamericani svolsero un ruolo significativo, ma spesso molto contraddittorio nei confronti degli ebrei che cercavano rifugio, dalle regole che permettevano l'ingresso solo ad ebrei convertiti alla religione cattolica entro il 1935/36 al commercio di visti autentici o di documenti di viaggio contraffatti.

Alla Conferenza sui profughi, tenutasi a Bermuda nell'aprile del 1943, gli Alleati non portarono alcuna concreta proposta di soccorso. I delegati non parlarono del destino di coloro che erano rimasti nelle mani dei nazisti, ma piuttosto di coloro che erano riusciti a fuggire in paesi neutrali. In merito a questi ultimi, furono individuate alcune misure pratiche che avrebbero potuto aiutare a liberare gli ebrei come il permesso per la temporanea ammissione dei rifugiati, la flessibilità dei severi requisiti d'ingresso. Dovrà però passare ancora un anno prima che queste misure cominciassero a diventare operative.

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