Le prime partenze Indice Dai fascicoli personali - L'esito delle richieste all'IRO

DAI QUESTIONNAIRES: LE STORIE

I fascicoli intestati ad ebrei stranieri già internati in Italia o nei campi italiani istituiti nella Jugoslavia occupata conservati nella sezione File provenienti dall'Italia degli Archivi Arolsen sono 519. I familiari conviventi il cui nome è riportato nei documenti sono 426, il che porta il numero complessivo delle persone interessate all'assistenza dell'IRO a 945. 1
La maggior parte degli intestatari dei fascicoli proveniva dall'allora Jugoslavia (23.3%), dall'Austria (21,7), dalla Germania (16,3) e dalla Polonia (14,8).
Sedici di essi erano stati deportati durante l'occupazione nazifascista, erano sopravvissuti al lager e tornati in Italia, anticipando già, con questa scelta, la decisione di non rientrare nella nazione di provenienza. Negli anni precedenti all'istituzione dell'IRO erano stati assistiti, in larga parte dall'UNRRA, ma non era mancata loro l'assistenza di altre organizzazioni, come la DELASEM, tornata operativa dopo la fine della guerra, ma, soprattutto dell'AJDC. Quest'ultima organizzazione continuò a seguirli anche dopo il 1947. Il dato più interessante, che in qualche modo distingue questo gruppo di persone dalle DPs ebree che entreranno on Italia dal 1945 è che solo una minoranza (10,7%) inserisce l'allora Palestina tra le richieste per la ricollocazione. Sono gli Stati Uniti ad essere la sede preferita per l'emigrazione (il 47,5% richieste) e la cifra comprende anche la maggioranza di coloro che provenivano dall'allora Jugoslavia. Anche il Canada e l'Australia compaiono tra le richieste in maniera significativa (14,2% per ambedue).
La lunga permanenza in Italia - per alcuni di essi più che ventennale - fa sì che ben il 39,8% degli ex internati chiedano di potervi rimanere ed alcuni iniziano anche le pratiche per ottenere la cittadinanza. L'altra direzione verso cui un buon numero di ex internati (il 21.7%) desidera muoversi è l'America del Sud. 2
E' comunque il Questionaire in cui sono riportate le interviste cui venivano sottoposti i richiedenti assistenza, nelle quali essi dovevano riferire le tappe più significative della loro storia nei dieci anni precedenti, il documento sul quale si incentra buona parte di questa ricerca.
E' stato già detto che esso va letto con molta attenzione, in quanto prodotto in una situazione in cui, chi rispondeva, era tentato di adattare il proprio racconto - soprattutto se non possedeva i documenti con cui validare le proprie dichiarazioni, così come richiesto dalle regole - allo scopo per cui si era rivolto all'IRO, cioè quello di farsi riconoscere come rifugiato o displaced person ed accedere, quindi, ai servizi dell'Organizzazione.
Trattandosi, tuttavia, dei fascicoli degli ebrei stranieri ex internati in Italia, è stato possibile verificare la veridicità di buona parte dei loro racconti, soprattutto di quella che riguarda il periodo che va dall'Ingresso in Italia, dal decreto di espulsione che li colpisce nel settembre del 1938 all'internamento e al momento della fuga o della liberazione. Per quanto riguarda, invece, il periodo precedente al loro ingresso in Italia, ci si affida alla corrispondenza rilevabile tra le vicende personali riferite e il contesto storico in cui esse si situano.
Riemergono, così le angherie subite in patria, con il sequestro dei beni, i licenziamenti, gli internamenti a Dachau tra il 1937 e il 1938, la liberazione e l'obbligo di lasciare la Germania o l'Austria nel più breve tempo possibile, la "big red J for Jews" apposta sui passaporti e tutti gli altri aspetti della persecuzione dalla quale erano fuggiti.
A proposito del decreto di espulsione, appare particolare, per quanto anticipa, la storia di Michele Karp, ebreo tedesco, ingegnere ed architetto, che viveva e lavorava a tra Lipsia e Stoccarda. Arriva in Italia nel 1938, con passaporto da apolide (Nansen?) concesso dalle autorità tedesche e soggiorna a Milano. All'atto della promulgazione del decreto di espulsione, scaduti i suoi documenti, cerca di passare i confini della Svizzera, ma viene arrestato e rinchiuso nella prigione di Montrisio. Espulso dalla Svizzera verso l'Italia, viene arrestato dalla polizia italiana e, successivamente, espulso verso l'Austria attraverso il Brennero, per essere rispedito di nuovo in Italia dalle autorità tedesche. Nel frattempo era stato emanato l'ordine di internamento degli ebrei stranieri presenti in Italia, e così fu inviato al campo di Civitella del Tronto in provincia di Teramo.
Dai racconti di coloro che, dall'Austria o da altre nazioni dell'Europa dell'Est, scelsero la Jugoslavia come rifugio, emergono anche i nomi dei campi in cui tra il 1938 e il 1940 fu consentito loro di risiedere, prima dell'occupazione della Jugoslavia da parte delle truppe dell'Asse, sovvenzionati dalle Comunità ebraiche o dalle associazioni di soccorso, tra i quali quelli di Ruma, Derventa, Kuršumlijska banja nei dintorni di Nish. Vengono confermate anche le fughe - loro e di tutti gli altri ebrei presenti nell'allora Jugoslavia che potettero permetterselo - iniziate già nell'aprile del 1941 - verso le zone annesse o occupate dall'Italia, i tentativi di ingresso clandestino spesso respinti, oppure ripetuti anche più volte prima che andassero a buon fine e si ottenesse il successivo internamento nella penisola.
La stragrande maggioranza degli ebrei in fuga dalla Jugoslavia occupata proveniva dalla Croazia cui era stata annessa la Bosnia e dalla Serbia, ma tra i documenti esaminati in sede di ricerca, se ne trovano anche alcuni riguardanti ebrei in fuga provenienti dalla Slovenia, come Leon Dorian Heller.
Leon viveva con la sua famiglia a Kranj, in Slovenia. I genitori erano proprietari di una fabbrica di tessuti. Aveva 15 anni al momento dell'invasione del suo paese da parte dei tedeschi. Il padre venne immediatamente arrestato, la fabbrica requisita, Leon e la madre dovettero abbandonare la loro casa. A maggio del 1941 riuscirono a fuggire a Lubiana, nella parte della Slovenia annessa all'Italia, dove li raggiunse il padre, liberato dal carcere perché malato. Vennero internati ad Agordo, in provincia di Belluno. 3
In parallelo con queste vicende, riemergono, dai Questionaires, altre peregrinazioni precedenti l'ingresso in Italia, come quelle degli ebrei con cittadinanza polacca espulsi dalla Germania nel 1938, quelle dei naufraghi della nave Pentcho o altre, se possibile ancora più complesse, come la storia di Nora Wolf. Nora era una ebrea di cittadinanza tedesca che viveva in Francia. Allo scoppio della guerra era stata internata nel campo di Gurs, situato nella repubblica di Vichy, lo stesso in cui era Anna Arendt. Scampata, forse con la fuga, alla deportazione, quando molti degli internati furono trasferiti nel campo di Dracy e poi ad Auschwitz, entrò in Italia dopo l'8 settembre del 1943, al seguito della III Armata Riuscì a raggiungere Firenze ed a spostarsi successivamente in altre città, vivendo sempre nascosta fino alla liberazione.
Altre storie interessanti che si possono ricavare dalle interviste sono quelle degli ebrei provenienti dalla Jugoslavia che, a partire dal mese di maggio del 1943 erano stati internati nel campo situato sull'isola di Rab (Arbe in italiano) appartenente territorialmente, dal maggio del 1941, a seguito degli accordi per la spartizione dell'allora Jugoslavia, alla Provincia del Carnaro e, quindi, all'Italia. 4 Tornati liberi subito dopo l'8 settembre, nei pochi giorni in cui il campo venne raggiunto dai partigiani jugoslavi prima che vi arrivassero i tedeschi, in molti si unirono alla lotta di liberazione, creando una vera e propria brigata. Diverse centinaia degli ex internati a Rab vennero trasferiti nell'Italia meridionale, sia a cura dei partigiani titini che degli Alleati, alcuni anche prima della fine della guerra. 5 Uno dei percorsi compiuti da molti degli ebrei prima di essere stati internati nell'isola è riferito da Leopold Hirschenstein.
Leopold viveva a Zagabria al momento dell'andata al potere di Ante Palevic e dell'arrivo dei tedeschi. Per non essere arrestato, come molti altri perseguitati, cercò di entrare in territorio italiano attraverso la città di Susak, 6 annessa alla Provincia del Carnaro, più nota come provincia di Fiume. Scoperto dalla polizia, fu arrestato e allontanato. Riuscì a rimanere nella zona occupata militarmente dagli italiani e, nel novembre del 1941 fu internato nel campo di Kralijevica (Porto Re in italiano) e, nel maggio del 1943 trasferito sull'isola di Rab. Dopo la capitolazione degli italiani, insieme alla moglie che lo aveva accompagnato in tutte le sue vicissitudini, con una piccola nave, i due riuscirono ad arrivare sull'isola di Vis (in italiano Lissa), e da qui, su una nave da trasporto inglese, a Bari.
L'altro, invece, lo ritroviamo nella storia di Anna Becker Berger, ebrea austriaca, che, come alcune migliaia di ebrei, provenienti da diverse nazioni europee, tra il 1938 e l'inizio del 1940 si era rifugiata in Jugoslavia, dove le leggi contro gli ebrei stranieri, all'epoca, erano meno severe di quelle promulgate dal fascismo.
Anna era arrivata fino a Sarajevo, ma dovette fuggirne all'arrivo dei tedeschi. Si fermò nella zona occupata militarmente dagli italiani e fu trasferita nel campo di Kupari e da qui sull'isola di Rab. Quando i tedeschi occuparono l'isola, insieme ad un gruppo di altri ebrei internati, anch'essa riuscì ad arrivare sull'isola di Vis, da dove fu trasportata da una nave inglese a Bari.
Angelo Tolentino, invece, era nato a Dubrovnik (Ragusa, in italiano). Internato nella sua stessa città che si trovava nella zona occupata militarmente dagli italiani, fu trasferito, nel maggio del 1943 sull'isola di Rab, tornato libero nel settembre del 1943, cercò di raggiungere Dubrovnik con una piccola nave, avendo sentito dalla radio che anche questa città era stata liberata dai partigiani. Durante il viaggio la nave si fermò sull'isola di Korcula (Curzola in italiano) non ancora occupata ed egli vi rimase fino al mese di dicembre. Quando i tedeschi si avvicinarono, anche lui trovò rifugio sull'isola di Vis da cui, finalmente, nel gennaio del 1944 riuscì a raggiungere Bari.
Nei Questionnaires trovano posto anche i racconti di ciò che accade a quelli, tra gli intervistati che, nel periodo successivo all'8 settembre del 1943, vennero a trovarsi sotto la Repubblica di Salò. Colpiscono, in particolare le testimonianze che ricordano l'aiuto ricevuto durante quei mesi di arresti e deportazioni e si ritiene che le date relativamente vicine - tra il 1947 e il 1948 - al momento in cui queste vicende accaddero conferiscano loro una, se pur non verificabile, garanzia di validità.
In generale i più raccontano di essersi salvati grazie a documenti falsi - senza però dire come erano riusciti a procurarseli - o nascosti tra le campagne e le montagne vicine al luogo di internamento.
In questi casi viene segnalato, da più di qualcuno, l'aiuto ricevuto dai contadini.
Non mancano, tuttavia, indicazioni più precise, rispetto ai luoghi e ai nomi.
Subito dopo l'occupazione tedesca, ad esempio, furono molti, tra gli ebrei stranieri che, fuggendo dalle località in cui erano internati si diressero a Roma, perché ritenevano che fosse più facile nascondersi in una città.
Alcuni di loro ricordano il nome dei conventi in cui furono accolti.
Se Wilhelm Ostfeld, accenna genericamente ad un "convento" in cui si nascose a Roma, raggiunta fortunosamente dopo l'8 settembre 1943 da Pizzoli, il paese in provincia de L'Aquila in cui era internato, Giuseppe Zwieback ,la sorella Laura e Giorgio Preger che a Roma giunsero addirittura da Arzignano, in provincia di Vicenza, affermano di aver trovato rifugio presso le suore del convento del Divin Salvatore, in via delle Mura Gianicolensi, 7 mentre Vladimiro Szpilewicz, arrivato a Roma da Sant'Angelo, in provincia di Pesaro, ricorda, invece, il convento della Resurrezione 8 .
Sempre a Roma si nasconde Matylde Beer, nel novembre del 1943. Vive in una pensione in via Quintino Sella n.20, con un documento falso intestato a Irace Matilde. Dichiara di essere stata protetta per ogni suo bisogno dal Vaticano e dal Papa.
Più particolareggiato il racconto di Isidoro Schmierer, che, si trovava in licenza dall'internamento a Roma, per le pratiche di emigrazione in Brasile - nelle quali veniva seguito dal Vaticano - al momento dell'occupazione da parte dei tedeschi. Rimane nascosto proprio nel palazzo della Cancelleria. Quando ne esce, nel mese di maggio del 1944, viene arrestato dalle SS e condotto a via Tasso. Viene liberato grazie all'intervento di Mons. Giacomo Morelli 9 e di Mons, Giuseppe Puncolo. Rientra in Vaticano fino alla liberazione.
Va ricordata, infine, per quanto riguarda Roma, la storia dei componenti della famiglia Azriel, internati a Sandrigo, in provincia di Vicenza. Fuggiti dopo l'8 settembre, raggiungono la capitale e qui, grazie alle indicazioni di una abitante del paese, Teresiana Doria, trovano subito rifugio nella casa del fratello Giovannino, in via Pinturicchio 55. Va segnalato il fatto che la famiglia Doria era imparentata con Vittorio De Sica, il quale era, tra l'altro, proprietario dell'appartamento di via Pinturicchio. 10
Scorrendo le interviste, si trovano anche quelle in cui vengono ricordati i nomi delle singole persone che nascosero nelle loro case gli ebrei stranieri in fuga.
Ad esempio, Jejcies Salomon, ebreo polacco, che nel settembre del 1943 si trovava internato a Villanterio, in provincia di Pavia, testimonia il 29 settembre del 1948, di aver ricevuto dai partigiani un documento falso intestato ad "un italiano non ebreo" ( Zanchi Mario), di essersi nascosto a Milano nella casa di un "good italian friend" tale Maroni, abitante in via Superga 48.
La moglie di Teodoro Spitzer, Berta, internata a Perugia, racconta che, all'arrivo dei tedeschi, si nascose a Monte Vibiano una località vicina alla città, ospitata da un signor Campi.
Johanna Wadler, all'arrivo dei tedeschi, fugge da San Vito di Cadore, in provincia di Belluno, dove era internata e viene ospitata, fino alla liberazione, da una contessa di cui ricorda solo il cognome - Micheli - in una località chiamata Spineda.
Paula Eggner, all'arrivo dei tedeschi, si trovava internata a Bra, in provincia di Cuneo. Si nascose nelle vicinanze della cittadina, in frazione Macellai, ospitata, fino alla liberazione dalla famiglia di Giovanni Tabarlo.
Per quanto riguarda le fughe verso la Svizzera, va segnalato il racconto di Cornelia Kraus, internata a Castellammonte, in provincia di Aosta e rifugiata, in un primo tempo a Pavole "a little village" vicino ad Ivrea. Qui rimane nascosta fino all'aprile del 1944, quando riesce a passare il confine dopo aver pagato 1300 lire alla guida che l'accompagnava. Cornelia torna in Italia nell'agosto del 1945. La particolarità di questa storia è che la donna presenta, come garante della sua veridicità, l'ingegnere Adriano Olivetti, del quale si conosce l'aiuto fornito agli ebrei presenti nel territorio di Ivrea che cercavano la salvezza in Svizzera.
Non mancano, tra i fascicoli, quelli di ex internati che, dopo l'8 settembre, diventano combattenti.
Alcuni si arruolano nella Brigata ebraica, come Leo Birnbaum, internato in provincia di Pesaro, e Lenkowicz Isidor che era a Salerno, dove si era trasferito dopo la liberazione dal campo di Ferramonti, altri, invece, come Jakob Jakoda, arrivato a Bari da Montecchio Maggiore, in provincia di Potenza si arruolano, da volontari nell'esercito polacco.
Più numeroso il gruppo di quelli che fuggiti dalla località in cui erano internati, vanno a raggiungere i partigiani che operavano nel territorio circostante.
Alfonso Marcuse dimostra, con un documento, di aver combattuto nella zona tra Clusone e Rovetta. David Lobmann, internato a Noventa Padovana, fugge verso il sud dopo l'8 settembre e, nei dintorni di Ancona, si unisce ai partigiani della Brigata Garibaldi, avendo come comandante il colonnello Corradi; di ciò fa fede il certificato che gli viene rilasciato, ad Osimo, dal Comitato di liberazione nazionale delle Marche. A Teramo, nell'aprile del 1944 Simon Kort fugge dal campo di Civitella del Tronto, dove era internato, pochi giorni prima che i tedeschi entrassero nel campo e raggiunge il gruppo di partigiani comandato dal colonnello Dolfi. Faiwell Szajkowicz , internato a Rocca Santa Maria, sempre in provincia di Teramo, presenta un certificato che attesta la sua presenza in una brigata di partigiani denominata "Ammazza l'orso".
Adalbert Marosi, da Bagno a Ripoli, ultima sede di internamento, raggiunge i partigiani che operavano intorno al comune di Castelfranco di Sopra, in provincia di Arezzo, e presta la sua opera di medico, sotto il falso nome di Armando Bianchi. Anche Giacomo Altars, prima di arrivare a Bari dalla Dalmazia nell'ottobre del 1943, aveva combattuto con i partigiani, in varie località croate.
Riemergono, infine, sempre dai fascicoli, anche storie di deportazione, terminate con la salvezza, ma non per questo meno drammatiche.
Silvio Barabas prima della guerra viveva a Sarajevo, città dalla quale fuggì dopo l'annessione della Bosnia alla Croazia di Ante Palevic. Raggiunse, come molti altri ebrei Jugoslavi, Spalato, nella Dalmazia diventata territorio italiano e da qui, alla fine del 1941 fu internato a Cison di Valmarino, in provincia di Treviso.
Arrestato dai fascisti alla fine del 1943, viene tenuto in prigione a Vittorio Veneto fino al mese di febbraio del 1944, quando viene deportato ad Auschwitz, per essere poi trasferito a Buchenwald e, infine, a Bissingen, vicino Dachau. Il "documento" che conferma la sia storia è il numero tatuato sul suo braccio Jakov Saja viveva a Belgrado e, all'indomani del tentativo di colpo di stato contro il governo, era stato mobilitato nel 18° Reggimento di fanteria con il grado di sergente. Catturato a Topola, pochi giorni dopo l'invasione da parte tedesca, era stato rinchiuso in un campo per prigionieri di guerra dal quale era poi stato prelevato, insieme agli altri prigionieri, per essere portato in Germania. Quando il camion che lo trasportava ha attraversato Belgrado, è riuscito a fuggire ed a raggiungere la moglie che, nel frattempo, si era rifugiata a Dubrovnik. I due, successivamente, raggiunsero Spalato e da qui, come internati, l'isola di Korzula da cui vennero trasferiti in Italia, a Tizzano, in provincia di Parma. Nel settembre del 1943, subito dopo l'arrivo dei tedeschi, marito e moglie vennero arrestati dalla polizia. Jakov fu subito trasferito a Salsomaggiore, da qui a Fossoli e, un mese dopo, ad Auschwitz e poi a Mauthausen, La donna, invece, subito dopo l'arresto, dovette essere ricoverata in ospedale, perché in procinto di partorire; nato il bambino, riuscì a fuggire ed a raggiungere la Svizzera.
Anche Leone Juda Gattegno, nato a Tripoli, da padre greco e madre libica, racconta la storia della sua deportazione. Nel 1942 venne trasportato in Italia dalla Libia, per essere internato proprio in quanto greco e, quindi, "suddito di stato nemico". Nel settembre del 1943 era ad Amatrice, in provincia di Rieti e qui venne arrestato dalla polizia, portato in prigione a Rieti e, dopo un mese, a Fossoli. Non ricorda la data della partenza per Auschwitz, ma ricorda i nomi dei vari campi nei quali passa prima di essere liberato: Sassowitz, Mauthausen, Melk e, infine, Welz. Anche lui può mostrare, come prova, il numero tatuato sul suo braccio.


1 Il numero complessivo dei richiedenti (intestatario del fascicolo + familiari) viene riportato come informazione generale, ma i dati inseriti nel database ed elaborati nei grafici riguardano solo gli intestatari dei fascicoli, che sono indicati come capofamiglia. Essi costituiscono un campione e forniscono, in proporzione, valori indicativi per ciascuna delle informazioni raccolte nel database di riferimento. Lo stesso metodo di lavoro e di analisi è stato seguito per la costruzione del database riguardante gli ebrei stranieri che entrano in Italia a partire dal 1945. Questa scelta è dipesa dalla necessità di utilizzare, come fonte dei dati, riferimenti certi, rispetto alle informazioni che si sono raccolte, in quanto è al capofamiglia che sono intestati i singoli documenti del fascicolo.
2 Erano concesse fino a tre opzioni di scelta, per l'emigrazione.
3 Per le vicende degli ebrei in fuga dalla Jugoslavia occupata che si rifugiano nella Provincia di Lubiana annessa all'Italia Lubiana, cfr Anna Pizzuti, Il caso Lubiana, in www.annapizzuti.it
4 Per le vicende generali del campo, nato, originariamente per internarvi partigiani o sospetti tali sloveni e croati e, solo successivamente aperto, in una apposita sezione, agli ebrei fuggiti dalle zone a dominazione tedesca e rimasti nei territori occupati militarmente dalla II Armata dell'esercito italiano, cfr: Carlo Spartaco Capogreco L'inferno e il rifugio di Arbe. Slavi ed ebrei in un campo di concentramento italiano, tra fascismo, Resistenza e Shoah, in: Mondo Contemporaneo n.2-2017
5 Per informazioni relative ai singoli internati, cfr: Ebrei internati nel campo di RAB, Identificazione e destino in http://www.annapizzuti.it/rab/index.php
6 Per le vicende degli ebrei che cercano di entrare in territorio italiano attraverso la città di Susak vedi: Anna Pizzuti, Dalla Jugoslavia occupata in www.annapizzuti.it
7 Notizie su questo convento in https://www.floscarmeli.net/Ebrei-rifugiati-nelle-case-religiose-femminili-in-Roma/ Sull'argomento generale cfr: Grazia Loparco: Gli ebrei negli istituti religiosi a Roma (1943-1944): Dall'arrivo alla partenza in Vita e Pensiero, Rivista di storia della Chiesa in Italia vol. 58, n. 1 (gennaio-giugno 2004), pp. 107-210 / Federica Barozzi - Percorsi della sopravvivenza: salvatori e salvati durante l'occupazione nazista di Roma (8 settembre 1943 - 4 giugno 1944) in La Rassegna Mensile di Israel, terza serie, vol. 64, n. 1 (Gennaio-Aprile 1998), pp. 95-144
8
9 Mons. Giacomo Morelli fu insegnante presso il seminario di Palestrina e successivamente membro del Corpo Diplomatico della Santa Sede. Non sono state rinvenute notizie sull'altro prelato del quale viene fatto il nome
10 La storia è confermata dalle ricerche di Giovanni Chiampesan, storico locale.

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