L'azione dell'IRO attraverso i documenti Indice Le prime partenze

EBREI STRANIERI EX INTERNATI IN ITALIA 1943-1946

Genova, 27 agosto 1943
Continuano a pervenirci richieste insistenti degli internati dell'Italia settentrionale [...] di essere trasferiti nell'Italia centrale e specialmente verso le province di Chieti, l'Aquila ecc.
Inoltre si chiede che vengano emanate immediatamente disposizioni alla R.Questura, perché vengano rilasciati a tutti gli internati dei documenti di identità personali, possibilmente dai quali non apparisca (sic) la razza, come misura precauzionale per un caso di mutamento della situazione. 1


Così scriveva l'avvocato Lelio Vittorio Valobra a Dante Almansi, presidente dell'Unione delle Comunità israelitiche e, insieme a lui, fondatore della DELASEM prevedendo ciò che sarebbe accaduto in conseguenza dell'armistizio, la cui firma era ritenuta ormai imminente.
Uguali timori li ritroviamo raccolti e segnalati a Roma, dal prefetto della provincia di Belluno che, il 9 settembre successivo telegrafa al Ministero degli Interni.

Stamani - fa sapere il prefetto - otto ebrei allontanatisi da località internamento questa provincia per ignota destinazione. Tutti gli altri ebrei, circa 160, internati in vari comuni della provincia vivamente impressionati per temuto prossimo arrivo truppe tedesche. Pregasi esaminare opportunità loro trasferimento altre località. 2

Insieme agli ebrei stranieri internati a Belluno, a decidere di fuggire subito dopo l'otto settembre, sono molti degli ebrei stranieri rimasti intrappolati a nord della linea Gustav.
Le direzioni, però, si dividono: una parte cercherà fortunosamente la salvezza oltrepassando la frontiera Svizzera, l'altra si dirigerà verso le regioni del centro-sud già liberate dagli Alleati 3
I primi arrivi nel sud Italia sono documentati dalla petizione che un gruppo di ebrei stranieri internati nel paese di Guardiagrele, in provincia di Chieti, indirizzano al Prefetto di Bari il 19 aprile 1944.

Alla sua Eccellenza il Prefetto di Bari
I sottoscritti [segue un elenco di 25 nomi] a suo tempo internati civili di guerra a Guardiagrele /Chieti/sono riusciti di passare il fronte e col tempo sono arrivati qui a Bari,Nr 1.Pw. Transit Camp.
In conseguenza dell'occupazione di Guardiagrele dalle truppe tedesche il pagamento del sussidio è stato sospeso dal 13 settembre 1943. I sottoscritti, lasciando tutto il loro bene a Guardiagrele, si trovano in una situazione grave e perciò si rivolgono alla Sua Eccellenza colla preghiera di voler concedere che li venga pagato il sussidio dal 15 settembre 1943 fino al giorno dei rispettivi arrivi a Bari.


Seguono, di nuovo, i nomi dei richiedenti, accanto a ciascuno dei quali è indicata la cifra richiesta in relazione alla data dell'arrivo nella città.
Colle loro firme - così si chiude la petizione - i sottoscritti dichiarano che tutte le date sopra indicate corrispondono correttamente alla verità 4

La maggior parte dei componenti del gruppo dichiara di essere arrivata a Bari tra il mese di gennaio e quello di marzo del 1944, mentre, per cinque di essi, la data di arrivo è quella del 12 dicembre del 1943.
Sempre a Bari erano arrivati, qualche giorno prima altri dodici ex internati, sette dei quali dalla stessa provincia di Chieti, due dalla provincia di Vicenza, uno dalla provincia di Treviso e i primi tre degli ebrei provenienti dall'allora Jugoslavia la quasi totalità dei quali, al momento dell'armistizio, si trovavano internati nel campo di Rab (Arbe) o in quelli istituiti sulle isole dalmate: di fatto una sorta di rappresentanza delle displaced persons che per prime raggiunsero la salvezza nell'Italia liberata, mentre i luoghi dai quali provenivano erano ancora occupati dai nazifascisti.
Gli ebrei stranieri sfuggiti alla deportazione e rimasti in Italia tra la fine del 1943 e l'aprile del 1945 erano 4261 dei quali 2195 già presenti - in quanto vi erano stati internati - nelle regioni dell'Italia centro-meridionale via via liberate.
Altri 688, in fuga dalle regioni che vennero a trovarsi a nord della linea Gustav, cominciano a giungervi - come testimoniato dal documento citato sopra - a partire dal mese di novembre del 1943. Quelli che, sempre a partire dallo stesso mese, che i partigiani titini o navi alleate trasferirono direttamente in Puglia dalle coste croate ed albanesi - finora documentati dalle ricerche - risultano essere stati 911. 5
Numeri certo non piccoli, ma, all'inizio, gestiti abbastanza facilmente dalle autorità alleate.
La prima soluzione individuata per loro fu quella di utilizzare gli stessi campi in cui molti di essi erano stati internati, in primo luogo quello di Ferramonti, in provincia di Cosenza, liberato il 14 settembre del 1943, e, con il procedere dell'avanzata degli alleati, anche quello di Campagna, in provincia di Salerno e i numerosi campi abruzzesi. 6
Questa prima soluzione, tuttavia - per quanto fondata sulle capacità di auto-organizzazione degli stessi ebrei rimasti nei campi non poteva durare a lungo se non appoggiata da una solida struttura assistenziale, considerato anche che il numero dei rifugiati aumentava quasi giorno per giorno con l'evoluzione degli avvenimenti bellici.
Furono comunque le province pugliesi, Bari, Taranto e Lecce quelle in cui si concentrarono le principali strutture di accoglienza, almeno fino alla liberazione di Roma nel giugno del 1944. Queste, ufficialmente si trovavano sotto la giurisdizione del governo Badoglio che però dipendeva dal Governo Militare Alleato (in sigla AMGOT) e fu quest'ultimo ad occuparsi fin da subito degli ebrei stranieri che vi avevano incontrato fin dalle prime settimane e di quelli che vi continuavano ad arrivare giorno per giorno.
Nell'ottobre del 1943 fu quindi creato un organismo apposito denominato Displaced Persons Sub-Commission che, a partire dalla metà del 1944 avrebbe preso il nome di Dprsc, Displaced Persons and Repatriation Sub-Commission. 7
Il primo incarico del nuovo organismo fu quello di aumentare le strutture ricettive aprendo altri campi. I principali furono il Transit camp n.1 situato alla periferia di Bari, nella frazione di Carbonara, e quelli salentini, come la struttura di Santa Maria al Bagno ma ve ne erano anche molti altri distribuiti su tutto il territorio. 8
Le condizioni di vita, in questi campi, si rivelarono ben presto molto difficili. Alle carenze organizzative, andavano aggiunte la precarietà delle condizioni fisiche e mentali e l'estrema povertà di molte delle persone che vi erano raccolte. 9
Si inseriscono, quindi, in questa situazione, le istanze con le quali gli ex internati chiedevano al governo dell'Italia Liberata, insieme alla ripresa del sussidio che ricevevano durante l'internamento - deliberata nel mese di aprile del 1944 - anche gli arretrati per quello che non avevano percepito a partire dal momento in cui avevano abbandonato il luogo di internamento.
La richiesta degli arretrati fu accolta e deliberata il 14 agosto del 194410 , insieme all'aumento dell'entità del sussidio stesso.
Un atto dovuto, la cui gestione, tuttavia, rivela diverse ambiguità che si ritiene importante sottolineare, perché contribuiscono, a parere di chi scrive, ad evidenziare quanto i modi di procedere della burocrazia post bellica risentissero ancora di quelli in uso nel passato ventennio, almeno nei confronti degli ebrei. Lo si nota già a partire dal testo della disposizione emanata nell'agosto del 1944 che, stando ai riferimenti presenti nella corrispondenza che verrà esaminata, ebbe bisogno di chiarimenti e integrazioni. Stabilendo, infatti, che gli arretrati del sussidio sarebbero stati erogati "agli ex confinati o agli ex internati politici, connazionali o di altre nazionalità, che in dipendenza dei noti eventi siano venuti a trovarsi nell'impossibilità di raggiungere la propria residenza" essa sembrava, da una parte, escludere gli ebrei stranieri, internati a seguito di un provvedimento di natura esclusivamente "razziale", dall'altra volerli includere - senza doverli nominare e lasciando libertà di interpretazione - attraverso l'accenno ad una eventuale "altra nazionalità" .
Nell'agosto del 1944, quando fu emanata la circolare, il capo del governo italiano era ancora il generale Badoglio, quello stesso, cioè, che - sempre come capo del governo tra il 26 luglio 1943 e l'8 settembre successivo - aveva sì provveduto, a partire dal 27 luglio 1943, alla liberazione delle diverse categorie di internati e confinati dal regime fascista, ma aveva dimenticato di inserire, nelle varie disposizioni che si erano succedute, gli ebrei stranieri internati. Nemmeno il testo di quella che, normalmente, viene considerata a loro destinata, emanata il 10 settembre del 1943, quando ormai era troppo tardi, a ben guardare, li cita con chiarezza, perché risulta destinata, genericamente alla "liberazione di sudditi di stati nemici internati" 11
Nemmeno il modulo prestampato che i richiedenti dovevano compilare per accedere al sussidio poteva chiarire la questione. Su di esso, per definire la propria condizione, il compilatore poteva scegliere solo tra due opzioni: confinato/internato politico, indicare le sedi e, da ultimo, la data fino alla quale si era percepito il sussidio. Agli stranieri era chiesto solo di segnalare l'eventuale impossibilità di tornare nel proprio domicilio". 12
Furono le Prefetture, quindi, ad interpretare - ciascuna secondo la propria visione - quali fossero esattamente tutte le categorie beneficiarie del provvedimento, come risulta dagli esempi che seguono e, come se non bastasse, anche a gestire i rapporti con le autorità alleate che, in quello stesso periodo andavano assumendo la gestione dell'accoglienza e del sostentamento delle displaced persons. A proposito di quest'ultimo aspetto, risulta interessante la nota inviata dal prefetto di Lucca proprio all'Ufficio Interalleato per la sanità e beneficenza il 4 novembre 1944, avente per oggetto:

Assistenza ex internati e cittadini di razza (sic) ebraica
Come è noto il Ministero dell'Interno con circolare 14 agosto 1944 n.451/1731 ha disciplinato il nuovo trattamento economico da farsi a decorrere dal 1° aprile ai cittadini italiani confinati ed internati politici che si trovano nelle condizioni di indigenza e nella impossibilità di raggiungere la loro residenza. [...] Ora, in seguito alle istruzioni verbali impartite da codesto ufficio secondo le quali alle persone di razza ebraica che si trovano in questa provincia e che non possono ancora raggiungere la loro residenza, [...], deve essere fatto il trattamento previsto per gli ex internati dalla circolare su indicata, anche se non consti che sia avvenuto il loro internamento, questa Prefettura ha iniziato gli atti per dar corso alle istruzioni stesse. Nel dare notizia di quanto sopra prego codesto ufficio di compiacersi dare un cortese cenno di conferma, dovendo citarlo nella contabilità da inviare al Ministero. 13


Cinque mesi dopo, il 29 marzo 1945, il Prefetto scrive, sulla stessa questione, al Questore della provincia. Questa volta l'oggetto è: Ex internati sussidiati
[...] L'A.M.G. fino all'ottobre chiese che fosse estesa alle persone di razza israelitica l'assistenza stabilita dalla circolare 451/1731 del Ministero dell'Interno a favore degli ex internati.
Avendo questo ufficio obiettato che detta circolare si riferisce ai soli ex internati che si trovassero in determinate condizioni, l'A.M.G. insistè egualmente per l'applicazione.
Di fronte all'ordine e in considerazione che questo era soltanto verbale, questa Prefettura scrisse una lettera con la quale, mentre dichiarava d'iniziare la istruttoria delle domande presentate dalla Comunità Israelitica, chiedeva conferma per iscritto dell'ordine verbale, per poterlo citare nella contabilità. L'A.M.G. con lettera [...] disponeva che l'assistenza dovesse essere anche alle vittime razziali. 14
La nota si conclude con la relazione sulle somme erogate, ma anche con la segnalazione che da parte dell''A.M.G. non erano arrivati elenchi quietanzati.
La stoccata finale contro gli Alleati non cancella il fatto che, senza il loro intervento, gli ebrei stranieri rimasti nella provincia di Lucca dopo la liberazione non avrebbero, probabilmente, ricevuto sussidi. La prova delle difficoltà che le disposizioni relative al sussidio incontravano ad essere attuate, è rinvenibile anche in questa comunicazione che il presidente dell'ECA - l'ente comunale che gestiva l'assistenza - di Vedelago in provincia di Treviso invia al Ministero dell'Interno, datata 24 ottobre 1945, più di un anno dopo l'emanazione delle disposizioni stesse.
A seguito della domanda presentata da quattro ex internati, lo scrivente

in considerazione delle condizioni di grande disagio in cui versavano i suddetti, spogli di ogni loro avere, privi di mezzi ed appena usciti da una dolorosissima odissea, interprete dei desideri del Governo [...], provvedeva, con sollecitudine, a liquidare loro il sussidio spettante, compreso quello arretrato.

Dopo aver esaminato i rendiconti, invece, la prefettura di Treviso, lo sospendeva per tre di essi, perché negli archivi della Prefettura e della Questura mancava la documentazione relativa al loro internamento nella provincia. 15 Per risolvere la questione, tuttavia, veniva imposto al presidente dell'ECA di chiedere al Ministero l'autorizzazione a procedere così come aveva deliberato. Cosa che lo scrivente fa, scrivendo, a chiusura della relazione:

In obbedienza a tale disposizione, questo ente si pregia di formulare regolare domanda per autorizzare il pagamento del sussidio già corrisposto ai suddetti ex internati, facendo osservare che dalle disposizioni pervenute non si ha riferimento al provvedimento chiesto dalla Prefettura. 16

Il presidente dell'ECA del comune di Vedelago segue il suo istinto, ma sulla necessità della documentazione si sbaglia. Infatti, per accedervi questa era necessaria, prescritta, come dalla prima delle disposizioni emanate dal governo sull'argomento, nell'aprile del 1944.
Del resto a tutti i comuni che erano stati sede di internamento stavano pervenendo richieste di certificazioni, sia dell'avvenuto internamento, sia del mese in cui era stato percepito l'ultimo sussidio. Lo scambio che interviene tra la prefettura di Teramo e il Ministero dell'Interno nell'agosto del 1945 fin dall'oggetto - Ex confinati ed internati: restituzione alle sedi di provenienza - introduce invece, nelle vicende che si stanno ricostruendo un elemento che, fino a quel momento era rimasto, per così dire, sullo sfondo: quello di fare in modo che essi tornassero al più presto possibile nei loro paesi di provenienza.

Con circolare n.443/32425 del 16 luglio 1945 - scrive il prefetto di Teramo il 9 agosto 1945 al Ministero dell'Interno - codesto Ministero ha disposto che le persone in oggetto debbano essere restituite alle sedi di provenienza, salvo il caso che intendano stabilirsi definitivamente nelle residenze attuali. La maggioranza degli ex internati è costituita da ebrei stranieri che, all'atto del loro fermo, si trovavano temporaneamente in Italia per proseguire verso altri paesi, mentre gli slavi ancora qui residenti sono stati portati in Italia dai paesi d'origine. Ciò stante, si prega codesto ministero di impartire istruzioni circa il centro di smistamento ove debbano essere avviati i predetti stranieri.

Da notare, nel documento, il modo in cui vengono spiegate o, meglio, minimizzate le ragioni per cui ebrei stranieri e slavi si trovino, nel 1945, in Italia, ma anche l'espressione "centri di smistamento".
Probabilmente, con essa, il prefetto intendeva riferirsi ai campi istituiti dalla Displaced Persons Sub-Commission, ma i termini scelti appaiono quasi in linea con il linguaggio con il quale i prefetti, negli anni precedenti, chiedevano alle autorità centrali disposizioni sull'internamento o su qualsiasi altra misura repressiva.
La risposta che arriva da Roma nel giro di pochi giorni non parla, direttamente, di "smistamento", bensì insiste su un ulteriore prospetto da compilare per dimostrare di aver diritto al sussidio. Esattamente ad un anno dall'emanazione della circolare che lo disponeva.

Per l'esame della posizione degli ex internati residenti in questa provincia - scrivono dal Ministero - ai fini della restituzione alle sedi di origine, si prega, innanzi tutto, di affrettare l'invio dei prospetti di cui alla circolare 20 aprile u.s. n.443/3125117 , completi di tutti i dati richiesti. Contemporaneamente si prega di precisare, per ogni singolo ebreo straniero, da quando risiede in Italia e, per gli jugoslavi, se si tratta di elementi che, per le loro convinzioni politiche, non intendano, per il momento, rimpatriare" 18

Come si può notare, anche da Roma si tende a nascondere la persecuzione cui furono sottoposti gli ebrei stranieri: risulta infatti del tutto incongruente la richiesta di "precisare, per ogni singolo ebreo straniero, da quando risiede in Italia" che sostituisce quella più attinente all'argomento che si sta trattando, cioè gli arretrati di un sussidio percepito durante l'internamento.
Altro aspetto singolare che emerge da questa corrispondenza che si svolge tra Teramo e Roma è il fatto che la discussione sui documenti da presentare per ottenere gli arretrati del sussidio avvenga nel mese di agosto del 1945, pochi giorni prima che il Ministero emani il provvedimento con cui si annuncia, per la fine del mese di dicembre la sospensione del sussidio stesso.
Meglio informata delle intenzioni del Ministero sembra la prefettura di Bari che, nella relazione inviata il 1° settembre del 1945 mostra di aver trovato il modo di anticiparle.

Per quei casi in cui non è stato possibile, e per la distruzione degli atti dovuta agli eventi bellici e perché si ignorava dove fossero gli archivi di alcuni campi di concentramento [...] avere notizie esaurienti e precise, si è provveduto alla revoca del sussidio, tenendo anche presenti le finalità di codesto Ministero intese a realizzare, nella spesa per tale forma di assistenza, quanta più economia possibile" 19

Le motivazioni con le quali il governo giustifica la cessazione le ritroviamo citate in una relazione che la Prefettura di Lecce indirizza al Ministero dell'Interno il 6 febbraio del 1946.
Esse risiedono nel fatto che si ritengono "cessate, in massima, le ragioni che dettero luogo all'assistenza" e quindi giustificata la cessazione di "ogni forma di soccorso statale", fermo restando, tuttavia che "particolari casi potevano essere considerati nell'ambito delle possibilità finanziare ed assistenziali di ciascuna provincia."
Ed è proprio quest'ultimo punto l'argomento della relazione.

Le norme emanate - vi si legge - mentre furono applicate nei confronti di 640 persone in precedenza assistite, non poterono trovare pratica applicazione per tutti gli ex internati e confinati residenti nei vari campi della provincia giacchè, come ebbe a segnalare la Missione italiana dell'UNRRA, trattasi di persone che non possono essere rimpatriate.
Per aderire, perciò, alle premure rivolte dalla indicata Missione, questa Prefettura ha continuato l'assistenza anche per i casi successivi e di tanto se ne rende edotto codesto On. Ministero, in considerazione anche che gli E.C.A. dei comuni sede degli assistiti non hanno la possibilità di sostenere la spesa che, in conseguenza, dovrà essere rimborsata da questa Prefettura, coi fondi di codesto On. Ministero. Prego fornire un immediato cenno di benestare. 20


Questa relazione conferma quanto scriveva il prefetto di Lucca, cioè che era l'UNRRA - l'United Nations Relief and Rehabilitation Administration che a partire dalla primavera del 1945 aveva sostituito la Displaced Persons Sub-Commission21 - a premere perché i sussidi erogati dal governo italiano fossero destinati anche agli ex internati e rifugiati ebrei. 22
Ci dice, però, anche che sempre il Governo Italiano, pur senza affermarlo con chiarezza, sembrava voler credere (o lo faceva volontariamente?) che il problema della presenza dei DP in Italia fosse quasi risolto, proprio nel momento in cui, invece, era già in atto l'afflusso vero e proprio in Italia di migliaia di DPs, soprattutto ebrei provenienti da tutte le nazioni dell'Europa centro orientale.
Fin dall'inizio, infatti, era stato chiaro come risulta anche dai documenti citati sopra, che il rimpatrio che l'UNNRA organizzava per le altre displaced persons era, per essi, del tutto improponibile. l'Italia, ormai, stava riassumendo, a tutti gli effetti, il suo ruolo di "ponte" verso gli altri continenti.


1 Archivio dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane serie Delasem, b.45
2 Prefetto di Belluno a Ministero dell'Interno, Telegramma n.00923 del 9 settembre 1943, in Archivio Centrale dello Stato (di seguito ACS), Ministero dell'Interno, (di seguito MI) Direzione Generale Pubblica Sicurezza (di seguito DGPS), Direzione Affari Generali e Riservati (di seguito DAGR), cat.A4bis, b.9,f,75,Belluno
3 Non mancano tuttavia, anche quelli che resteranno nelle loro sedi di internamento e riusciranno a salvarsi, a volte anche grazie all'aiuto degli abitanti del luogo. Su questo argomento cfr: Liliana Picciotto: Salvarsi - Gli ebrei d'Italia sfuggiti alla Shoah 1943-1945, Einaudi Storia,2017 e http://www.annapizzuti.it/lasalvezza/index.php
4 Per il testo completo dell'istanza cfr: ACS,MI,DGPS,DAGR, cat A16 (Stranieri e ebrei stranieri), b.48,f.21 Bari Per le informazioni sulle vie di passaggio della Linea Gustav in provincia di Chieti cfr: Giuseppe Liberato Scioli, E' veramente ebreo! - Giuseppe Venturi e gli ebrei (1938-1944), AGA editrice, 2018 e (a cura di) Carlo Spartaco Capogreco, L'internata n.6, Maria Eisenstein (Autore), Edizioni Mimesis 2015
5 Database in www.annapizzuti.it aggiornato al 20 marzo 2020
6 Cfr Federica Di Padova: I campi profughi per Jewish Displaced Persons in Italia cit.p.38
7 Cfr Francesco Terzulli: Torre Tresca a Bari un campo per Displaced Persons di lunga durata cit, p. pp 66-67
8 Francesco Terzulli Torre Tresca a Bari un campo per Displaced Persons di lunga durata cit p. 80 e segg
9 Francesco Terzulli Torre Tresca a Bari un campo per Displaced Persons di lunga durata cit. p 90
10 AUCI, Serie Legislazione, b.65B
11 Per i testi di queste disposizioni cfr: Carlo Spartaco Capogreco: I campi del Duce - L'internamento civile nell'Italia fascista, Einaudi, Torino, 2004, pp191-192. Va ricordato, inoltre. che gli ebrei stranieri - rimasti in Italia, nonostante il decreto di espulsione n.1381 emanato il 7 settembre del 1938 - erano stati internati in quanto "sudditi di stati nemici che fanno politica razziale", una definizione che non corrispondeva a nessuna delle categorie di internati o confinati previste dalle leggi di polizia e da quelle di guerra. Cfr: Telegramma circolare n. 443/45626, Capo della Polizia a Prefetti del Regno e Questore di Roma, in ACS, MI, DGPS,Massime, M4,b.59,f.60. Del resto, anche durante l'internamento, nella corrispondenza tra le autorità locali o centrali che li riguardava, le definizioni contenute negli "oggetto" erano diverse e, a volte, tra loro contrastanti. Cfr: Anna Pizzuti, Vite di carta - Storie di ebrei stranieri internati dal fascismo. Donzelli, Roma, 2010, pp 92-95.
12 Modulo di domanda presentato da Chonfeld Giulia, internata nel comune di Picinisco (FR), in Archivio Storico Comune di Picinisco,Carteggio, Categoria VIII, f.11,sf Documenti ebrei
13 ACS, MI, DGPS, DAGR, Cat. A16 (Stranieri ed ebrei stranieri),b.52, f.39: LUCCA
14 ACS, IVI
15 Si tratta di Krieger Leopoldo fu Samuele col figlio Josef, di nazionalità polacca: ad un controllo effettuato sul database disponibile on line in www.annapizzuti.it due dei tre risultano essere stati veramente internati, ma non nella provincia di Treviso, bensì in quella di Belluno
16 ACS, MI, DGPS, DAGR, Cat. A16 (Stranieri ed ebrei stranieri),b.53, f.76: TREVISO
17 La circola in cui si stabilisce di continuare ad erogare il sussidio agli ex internati, citata in quella emanata il 14 agosto
18 ACS, MI, Dgps, Dagr, Cat. A16 (Stranieri ed ebrei stranieri),b.53, f.76: TERAMO
19 ACS, MI, Dgps, Dagr, Cat. A16 (Stranieri ed ebrei stranieri),b.52, f.10/1: "BARI"
20 ACS, MI, DGPS, DAGR, Cat. A16 (Stranieri ed ebrei stranieri),b.52, f.36: LECCE
21 L'UNRRA. perfezionò il sistema di accoglienza iniziato dalla Displaced Persons Sub-Commission, utilizzando molti dei campi già in funzione ed aprendone di nuovi. Nell'agosto del 1947, quando l'UNRRA cessò la sua attività i campi che ospitavano DP soprattutto ebrei erano diventati 17, dislocati ormai su tutto il territorio nazionale. Nel nord Italia i campi più grandi erano quello di Grugliasco, poco lontano da Torino e quelli di Modena, Cremona e Reggio Emilia. Nel centro Italia furono stabiliti dei campi a Fermo, Senigallia, Jesi ma un ruolo centrale ebbe quello di Cinecittà. In Puglia rimasero attivi il Transit camp n.1 di Bari e quelli del Salento, ma altri ne furono creati, ad esempio a Palese, Barletta Trani. Accanto all'UNRRA. operava il Joint, che in primo luogo forniva ogni tipo di sostegno al non facile funzionamento dei campi, ma che, come si vedrà in seguito, si impegnava anche in altre attività come, ad esempio, l'organizzazione dei trasferimenti dei sopravvissuti ai lager nazisti verso la stessa Italia. Cfr Federica Di Padova: I campi profughi per Jewish Displaced Persons in Italia tra storia, ricostruzione e memoria (1943-1951) cit. p.275
22 L'UNRRA aveva intrattenuto rapporti anche con gli ex internati rimasti nel campo di Ferramonti fino a quando questo non fu definitivamente chiuso. Le modalità con le quali questa operazione avvenne sono descritte in una relazione inviata da prefetto della provincia di Cosenza al Ministero dell'Interno, il 22 settembre 1945. In essa vengono comunicati i trasferimenti di gruppi di internati verso campi pugliesi in attesa di proseguire per Milano e Roma. organizzati dalla stessa UNRRA. Ad essi, viene detto, è consentito di portare con sé attrezzature e suppellettili in dotazione al campo. Dopo la loro partenza, restano circa trenta ex internati in attesa di essere rimpatriati nei loro paesi d'origine. Cfr: ACS,MI,DGPS,DAGR, cat.A16 (Stranieri e ebrei stranieri), b.52,f.24/1, COSENZA

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