Premessa Fiume ed Abbazia: Indice L'internamento

Il quadro storico


La Provincia del Carnaro, formata dal centro storico della città di Fiume e da gran parte del suo territorio diventa parte integrante del regno d'Italia con il trattato di Roma del 27 gennaio 1924 dopo che Mussolini ebbe messo fine al progetto dello stato autonomo previsto per la città dall'articolo IV del trattato di Rapallo del 1920. L' accordo con il nascente Regno di Iugoslavia sancì i nuovi confini e Fiume Italiana fu divisa da Susak (Sussa) che fu assegnata alla Iugoslavia. Come tutte le Comunità che erano appartenute all'Impero Austro-Ungarico, anche la Comunità fiumana e quella della contigua Abbazia videro nei Savoia e nel Regno d'Italia una garanzia di di tutela e di convivenza.
Significativa, nella Comunità di Fiume, era la presenza di famiglie di origine ungherese che si erano stabilite nella città fin dalla seconda metà dell'800, quando Fiume apparteneva - se pure con una serie di privilegi che ne facevano quasi un "Corpus Separatum" - al Regno d'Ungheria. L'affluenza di famiglie con la stessa origine continuerà anche nei primi decenni del 1900. Ad interrompere il processo di integrazione che, fino a quel momento, era stato del tutto positivo, arrivarono, nel novembre del1938, le leggi razziali.
In realtà l'attenzione delle autorità era vigile fin dai primi mesi dell'anno e si sviluppava con una particolare sensibilità per tutte le manifestazioni anche culturali che avevano attinenza con l'ebraismo, ma il primo vero colpo fu inferto con il decreto del 7 settembre del 1938, quello che privava della cittadinanza ed espelleva dal Regno gli ebrei stranieri che l'avessero acquisita dopo il 1919.
Il decreto creò a Fiume e nella provincia una situazione del tutto particolare, legata proprio alla storia della città, in quanto gli ebrei in essa residenti erano diventati cittadini italiani a tutti gli effetti solo nel 1924 ben oltre, quindi, i termini previsti dal legislatore fascista.
Procedendo con lo stesso metodo usato nelle altre province, vennero compilati elenchi separati di "Ebrei stranieri che hanno acquisito la cittadinanza dopo il 1919", ma ben presto le stesse autorità fasciste dovettero porsi il problema. In una nota ministeriale del 29 ottobre 1938 viene spiegato - anche se in maniera piuttosto vaga - che gli ebrei (in questo caso stranieri?) che sono diventati cittadini italiani in seguito a trattati "non sembra debbano considerarsi essere venuti in Italia dopo l'1 gennaio 1919."1
La possibilità che gli ebrei fiumani non dovessero essere considerati alla stessa stregua degli ebrei stranieri viene confermata dal fatto che il ministero dell'Interno, cui spettava, in base all'art. 26 delle leggi antiebraiche, dirimere le questioni relative all'applicazione delle leggi stesse, accolse, su parere conforme del Consiglio di Stato, vari ricorsi contro il provvedimento di revoca della cittadinanza presentati da ebrei che cittadini lo erano divenuti dopo in trattato di Saint Germain, non per concessione, come appunto fu precisato, bensì per riconoscimento di un diritto.2 Su questo punto intervengono due testimoni diretti degli avvenimenti.
La signora Maddalena Lipschitz Heimler ricorda che, dopo l'annessione, per l'acquisizione della cittadinanza italiana furono seguite due procedure diverse. I cittadini fiumani la ricevettero automaticamente, quelli che, pur risedendo già da molti anni a Fiume, avevano conservato la cittadinanza d'origine, dovevano richiederla. L'averlo fatto con molto ritardo fece sì che la sua famiglia fosse tra quelle cui la cittadinanza fu revocata con il decreto del 7 settembre 1938.
L'ingegner Federico Falk precisa:
"Come è noto , in base alle leggi razziali del 38 tutti gli ebrei che avevano ottenuto la cittadinanza italiana dopo il 1919 ne furono privati. A Fiume sorse il paradosso per cui noi saremmo dovuti essere cittadini italiani da prima del 1919, cioè prima dell'annessione all'Italia avvenuta prima nel 1924. Allora fu escogitata la definizione di pertinenza cioè tutti coloro che erano nati a Fiume erano pertinenti fiumani. Costoro erano considerati a pieno titolo cittadini italiani. […] Mio padre che era arrivato a Fiume nel 1908 e aveva ottenuto la cittadinanza italiana solamente nel 1930, ne fu privato e, visto che contava il capofamiglia, ne fui privato anche io."
La cittadinanza italiana fu revocata a 399 ebrei sui 938 presenti che l'avevano richiesta e a suo tempo ottenuta e su 1531 che nel 1938 risultavano essere residenti in città (1783 stando alle accurate statistiche della "Difesa della Razza" diretta da Preziosi).
A 157, dei 399 che ne erano stati privati, la cittadinanza italiana, accogliendo i ricorsi, sarà poi riconfermata.
Il decreto di espulsione del 7 settembre 1938 non riguardava solo gli ebrei stranieri a vario titolo e da vari anni residenti in Italia, ma aveva anche lo scopo di mettere fine all'arrivo in Italia di migliaia di profughi provenienti dalla Germania nazista e, successivamente, dall'Austria e dagli altri paesi dell'Europa centro-orientale in cui le persecuzioni antiebraiche diventavano via via più feroci. Per quanto tra il novembre del 1937 fino al 17 novembre 1938, data di emanazione delle leggi razziali in Italia, il flusso di immigrati nella provincia del Carnaro fosse decisamente inferiore rispetto a quanto accadeva in altre città italiane, anche Fiume, già dal 1933 era stata meta di profughi, come dimostrano gli elenchi conservati negli archivi. Molti di essi raggiungevano Fiume per poi passare a Trieste o sostavano ad Abbazia con la speranza, quasi sempre delusa, di poter fuggire dall'Europa.
Maddalena Heimler e Luigi Sagi nella loro testimonianza ricordano quanto fosse precaria la condizione di queste persone e le difficoltà che incontravano, soprattutto quelle economiche, visto che avevano dovuto lasciare in Germania tutti i loro averi.
Raccontano anche di come, anche se i contatti non erano molto stretti, fosse facile comprendere quanto grandi fossero i pericoli che avevano corso loro stessi e che correvano quelli che non erano riusciti a fuggire, al punto che - nel caso della famiglia Lipschitz - fu deciso che due dei figli partissero per l'allora Palestina e che, successivamente, si pensò di emigrare tutti, anche se poi non se ne fece nulla.


1 ACS, PS, A16 (Stranieri ed ebrei stranieri) b.1,f,A1
2 Su questo, come su altri ricorsi intentati da ebrei stranieri colpiti dalle leggi antiebraiche vedi: G. Speciale, Giudici e razza nell'Italia fascista, G. Giappichelli editore, Torino 2007, pp. 94-99

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